Secondo gli studi compiuti, la villa venne costruita in due fasi successive, durante l’età augustea e in quella imperiale.
Unica nel suo genere, la residenza conserva ancora oggi raffinati pavimenti a mosaico e tracce di affreschi e stucchi alle pareti. Con i suoi 500 metri quadrati, la Villa dei Mosaici di Spello ci offre dieci ambienti con pavimenti a mosaici policromi stupefacenti, raffiguranti figure umane, scene di vita quotidiana, animali selvatici e fantastici, decorazioni geometriche e tappeti di pietra.
Le varie stanze prendono il nome dai soggetti raffigurati nelle decorazioni a pavimento: la Stanza degli Uccelli, la Stanza delle Anfore, il Triclinio, la Stanza del Sole Radiante, la Stanza del Mosaico Geometrico, la Stanza degli Scudi, l’ambiente riscaldato e il Peristilio. Gli ambienti non decorati della villa erano, con ogni probabilità, stanze di servizio.
Contigua e in asse con il peristilio è la sala più grande dell'edificio, identificata con il triclinio. La ricca decorazione pavimentale, purtroppo non integralmente conservata, è realizzata in tessere di calcare locale (rosse, nere, rosa scuro e verdi) su fondo bianco e tessere di vetro (rosse, blu e verdi) nella scena figurata centrale. Lo schema decorativo è particolarmente ricco e articolato: cornici geometriche inquadrano una decorazione a ellissi e a campane che disegnano ottagoni dai lati concavi disposti agli angoli e nella parte centrale della sala, intervallati da quadrati curvilinei. Ogni campo decorativo è occupato da singole figure: animali, reali o fantastici, personificazioni delle stagioni e figure maschili in nudità. All'interno dell'unico ottagono centrale conservato è la scena della mescita del vino orientata verso la parete di fondo; del secondo ottagono, con scena verosimilmente orientata verso l'ingresso della sala, resta solo un lato e i brevi attacchi dei lati contigui.
Lo schema, di probabile creazione italica della seconda metà del II secolo e poi largamente diffuso in tutta l'area mediterranea, è documentato a Roma e in altri contesti della penisola in età severiana.
La decorazione parietale, parzialmente conservata lungo le pareti orientale e meridionale, consiste in un alto battiscopa delimitato superiormente da una fascia rossa oltre la quale è una serie di pannelli su fondo bianco, motivo attestato a Roma a partire dalla metà del II secolo d.C.
La sala, ubicata lungo il lato meridionale del peristilio, presenta una ricca e articolata decorazione geometrica dall'effetto tridimensionale, con ottagono centrale in cui è l'emblema con la figura del Sole. Delimita il tappetto musivo una cornice quadrata di colore rosso mentre la fascia di raccordo alle pareti è in tessere bianche. Quella lungo il lato meridionale, più larga, è ornata da una serie di otto cerchi contigui con all'interno grandi fiori ad edera. Le pitture parietali, seppure limitate alla parte inferiore dello zoccolo, sono tra quelle meglio leggibili e risaltano sia per la pittura vivace che per il livello di raffinatezza compostiva.
La parete meridionale e quella su lato opposto presentano una decorazione geometrica a losanghe alternate a riquadri attestata, nell'Urbe e nelle Province, dal I al IV secolo d.C. La parete orientale conserva, invece, una decorazione a pannelli rettangolari con scenette di genere, intervallati da bande verticali. Da sinistra a destra nel primo, su fondo ocra, sono raffigurati due animali affrontati, al pascolo; in quello successivo, a fondo nero, tre anatre in uno stagno. Seguono quello centrale, più stretto, di colore rosso, e altri due riquadri analoghi ai precedenti, dei quali solo l’ultima conserva tracce di decorazione: quattro sottili zampe con zoccoli.
Sorprendono sia la presenza dei motivi figurati e naturalistici, rari alla fine del II secolo, sia la loro ubicazione, solitamente realizzata in punti più alti della parete.
Il piccolo vano, dietro la sala principale e a cui si accede dall'ambiente D, è parzialmente scavato nella metà meridionale e per il resto lasciato in stato di crollo. Si tratta dell'unico ambiente riscaldato dell'edificio e l'unico con le pareti rivestite in stucco, di cui restano tre pannelli, solitamente utilizzato negli edifici termali per contrastare l'umidità.
Tali caratteristiche corrono entrambe ad accrescere il prestigio della dimora e dei loro proprietari.
Sopra un pavimento in lastre di laterizio, una fitta serie di pilastrini anch'essi in laterizio (suspensurae) sorreggevano il pavimento superiore, a mosaico policromo e con motivi geometrici, in modo da formare un’intercapedine in cui circolava l’aria calda alimentata da un forno (praefurnium) ubicato in un adiacente vano di servizio. Attraverso dei tubuli fittili, uno dei quali ancora in situ, l'aria risaliva lungo le pareti della stanza, riscaldando l'ambiente.
Poiché non sono state rinvenute tracce relative all’eventuale sistema di adduzione di acqua, la stanza o ospitava una vasca mobile, oppure, come suggeriscono sia l'ubicazione che l'accessibilità, potrebbe considerarsi una piccola sala di ricevimento riscaldata, allo scopo di rendere confortevole il soggiorno e il riposo dei proprietari e dei loro ospiti nel periodo invernale, secondo un uso che all'interno di dimore di un certo livello si riscontra a partire dalla fine del I secolo e si consolida nel secolo successivo.
Lungo le pareti della struttura museale è esposta una piccola raccolta archeologica. Nelle prime teche, sulla parete sinistra, sono i materiali, non molti in verità, provenienti dagli ambienti della villa e, in qualche caso, dal terreno di riporto che ricopriva l'area: intonaci policromi, con cornici in stucco decorate da motivi impressi a stampo, ed intonaci con decorazione dipinta con motivi floreali e figure umane su fondo bianco. Accanto sono marmi policromi di diverso spessore, pertinenti a rivestimenti pavimentali e parietali.
Seguono frammenti di stucchi di pregevole qualità che, applicati su lastre di laterizio, foderavano le pareti del vano riscaldato. La decorazione, impressa e incisa, conserva parti di cornici a dentelli, elementi floreali, figure alate, mostri marini e scene figurate non ricostruibili.
Nelle teche successive si segnalano frammenti di tubuli, un orlo di dolio con bollo impresso con il gentilizio Pullius da riferire al nome del vasaio che lo ha realizzato e due frammenti di lastre rivestimento (II secolo a.C.) da riferire quindi ad un contesto cultuale, non necessariamente all'area della villa. Tra i reperti in metallo, perni di maniglia e sistemi di chiusura in ferro, pertinenti a mobili e cofanetti lignei; tra gli oggetti bronzei, due monete - della zecca di Neapolis quella più grande (300-275 a.C.) e della zecca di Roma (41-54 d.C.) quella più piccola - un anellino con inciso un fiore stilizzato, un’armilla e una borchia per decorare piccoli oggetti.
Nelle restanti teche sono esposti alcuni tra i materiali più significativi provenienti da contesti suburbani di tipo funerario, domestico e cultuale.
Sulla parete di fondo sono esposti reperti bronzei di particolare pregio artistico provenienti dalla necropoli estesa tra la località Portonaccio e Via Baldini : un unguentario a fiaschetta decorato a sbalzo, di produzione chiusina, con incisa una formula onomastica in lingua umbra; uno specchio a teca con scena mitologica a sbalzo e un incensiere di produzione tudertina datati alla prima metà del III secolo a.C. I piattelli in ceramica documentano i contatti di Hispellum con i centri etruschi di Orvieto e di Civita Castellana tra la fine del IV e gli inizi del III secolo a.C.
Lungo la parete destra, nelle prime due teche sono esposti recenti ritrovamenti (2013- 2014): un'erma bifronte in marmo bianco lunense (inizi II sec. d.C.) rinvenuta nella vicina Piazza Kennedy e i materiali bronzei di una domus preaugustea in parte riportata alla luce nell’angolo tra le mura augustee e Porta Consolare: un timbro, una campanella, un peso per filo a piombo; in basso alcune lucerne dall'area di Porta Consolare, che ricoprono un lungo arco cronologico.
Le ultime due teche contengono alcuni materiali del santuario degli Umbri presso Villa Fidelia; tre altorilievi frontonali e frammenti di terrecotte architettoniche (II-I sec. a.C.) di una domus pertinente al santuario, tra cui spicca il frammento di antefissa con la “signora degli animali”.